PO

Po

L

Ai lati la pianura imbiancata scorreva veloce avvolta nella foschia, mio padre in silenzio guidava con le dita sospese sulla manopola della radio. Nell’abitacolo della Giulia Alfa Romeo 1600 si diffondevano a basso volume le note di Sounds like a melody.

Stava ancora nevicando quando arrivammo alla casa dei nonni ormai disabitata, nell’ingresso c’era ancora l’odore di cenere proveniente dal camino.

Una piccola muta di cani appartenuta al nonno viveva ancora nella recinzione a ridosso dell’edificio, mio padre ci passava regolarmente per portagli cibo e acqua.

Negli anni mi ero particolarmente affezionato al più piccolo, dallo sguardo dolce e temperamento mansueto, il colore scuro gli dava l’aspetto astratto di una sagoma quasi piatta coi volumi appena accennati; viveva separato dagli altri credo per una questione di competizione all’interno del branco, lo avevano chiamato Po, come il fiume che tagliava in due quelle terre basse.

Mio padre prese le sostanze dalla dispensa e preparò un intruglio che mise a scaldare sul fuoco, un odore penetrante di latte e pane vecchio permeò la stanza.

Lo vidi da lontano, all’inizio non capii, un’indistinta sagoma nel chiarore pomeridiano, solo i contorni appena tratteggiati, il corpo era rigido appena ricoperto dalla neve che dolcemente continuava a cadere. La catena alla quale era legato si era impigliata nei cardini della porta della rimessa dove viveva impedendogli di rientrare e ripararsi. 

Mio padre si avvicinò per esaminare l’accaduto, lo accarezzò per un’ultima volta con un gesto quasi sospeso che sembrava durare un’eternità. Fu la prima volta che lo vidi piangere.