I pescatori
I
Le sere d’estate, dopo la chiusura dell’albergo, mi caricava sul cannone della bici per andare a vedere i pescatori del porto. Si avvertiva per strada già quell’odore tipico dell’acqua un poco stagnante che prende nei mesi estivi.
Camminavano in silenzio nella semioscurità seguendo la corrente che trasportava l’esca, lo sguardo fisso al galleggiante fluorescente che lanciava lampi giallo fluo tra i flutti bruni. La mano grossa e nodosa di mio padre mi teneva forte per paura che potessi cadere in quell’abisso.
Disseminati lungo tutto il canale c’erano dei secchielli illuminati da luci al neon portatili, in attesa sul fondo pochi gamberetti immobili usati come esca. Piccoli ossigenatori a batterie creavano una nota continua nelle stazioni disseminate lungo il molo.
Arrivati alla scogliera artificiale del porto o al contrario quando c’era l’acqua alta nei pressi di un ponte tiravano sù le canne e ricominciavano il processo daccapo tornando al punto di partenza.
C’era sempre un continuo viavai di pescatori con la lenza in mano che percorrevano il camminamento in senso contrario. Più vicino al centro del canale l’acqua era più veloce cosi ogni tanto chi pescava a ridosso dell’argine doveva cedere il passo a chi andava più veloce.